Recensione a cura di A. Magno

28.11.2021

"Il mistero Archimede" si apre con quattro dediche significative: la prima, indirizzata alla famiglia

costituita dall'autore, Corrado Suma "alle mie tre stelle ragione di vita", la seconda, centrale,

"a mia mamma e mio papà" il fulcro del romanzo, l'impronta genetica irrinunciabile, la terza, una

dedica di sfida, quella che riporta una citazione di Oscar Wilde, un outsider, il quale dice" Val sempre

la pena di fare una domanda ma non sempre di darle una risposta" per cui il vero sale della vita sta

nella ricerca, nell' "investigatio", non tanto nelle certezze precostituite; addirittura una quarta

dedica cita un economista, Keynes, per cui "la difficoltà non sta nelle idee nuove ma

nell'emancipazione da quelle vecchie", con cui si evoca la perenne lotta tra tradizione ed

innovazione.

Già dall'esordio dunque c'è tutta la natura polisemantica di questo romanzo, che tiene conto

certamente del mondo valoriale di Corrado Suma, del suo retaggio familiare, dei suoi studi

scientifico-economici, della sua passione per la filosofia antica, della sua anima divisa tra scienza e

fede. Il romanzo è narrato in prima persona da Pietro, lo studente in cerca di una tesi di laurea;

dunque il narratore è omodiegetico, immerso nei fatti ed ha, proprio per questo motivo, una visione

parziale della vicenda, egli stesso è alla ricerca della comprensione più profonda dei fatti.

Tutti i personaggi del romanzo hanno una valenza doppia, ambigua: non a caso alcuni di loro sono

"tipi" non personaggi, con nomi metaforici e non reali, come il Bibliotecario, L'Orlatore/Orlatrice, I

Questori (gemelli, che parlano all'unisono): il tema del "doppio" ha una lunga tradizione, a partire

dai "Menaechmi" di Terenzio, sino ad arrivare alla contemporaneità del "Dottor Jeckill e Mister

Hyde".

Il protagonista Pietro può essere considerato come l'emblema di ogni uomo "curioso", che cerca la

propria identità: la sua avventura "odissiaca", alla ricerca della verità sulla vita, la morte ed il

pensiero di Archimede, oggetto della sua tesi, non è altro che l'espressione metaforica della ricerca

di ogni uomo di comprendere meglio se stesso e il mondo che lo circonda. Il professor Piquet è un

attante, un maestro che cerca, alla maniera socratica, con l'arte della "maieutica", di guidare Pietro

alla scoperta personale della verità, senza dargli appigli, risposte preconfezionate e certezze

precostituite, aprendogli il campo alla sfida della vita: cercare, senza pregiudizi, la verità, rischiando

di cadere, di confondersi, e riprendendo il cammino con pochi puntelli di riferimento.

La prima battuta del romanzo, che ha colpito la nostra immaginazione, si trova a pagina 17, quando

il professore Piquet sottolinea che ognuno ha un'"impronta filosofica", che si invera nelle nostre

azioni e che trae radici dai nostri antenati e familiari: "è incardinata nei geni dei nostri avi, alimentata

dai nostri genitori e lavorata da noi stessi nel corso della vita. E' il mondo esperienziale che la rinnova

eri alimenta di continuo, ma come ogni terra non è adatta a tutti i tipi di frutti, l'impronta filosofica

accoglie e protegge quei pensieri che meglio attecchiscono con la propria essenza". Proprio quest'

impronta filosofica torna, in ringcomposition, alla fine del romanzo, laddove l'avventura del

protagonista (reale, immaginaria, concreta e surreale, sogno realisticamente allucinante ed

allucinato?) viene presentata come un conflitto tra tradizione contro progresso cioè a dire tra

l'impronta familiare ,statica, che, a volte, può caratterizzarsi come una "trappola" ( tema

pirandelliano) contro il salto dinamico nel buio della ricerca, ovvero stabilità contro

destabilizzazione, certezza contro incertezza. Il romanzo rappresenta un rito iniziatico: Pietro

affronta un viaggio dentro se stesso, diviso tra forze opposte; a pagina 71, infatti, dice: "Sono certo

che il professore Piquet mi ha affidato questa ricerca per provare la sua tesi sull'impronta filosofica.

Sono certo che sono stato messo in mezzo da voi due per comprendere quanto sia resistente la

tradizione rispetto all' onda inarrestabile perenne del progresso".

Sempre a pagina 18 colpisce la cosiddetta "teoria dell'equilibrio" di Piquet, in base alla quale è

auspicabile un rapporto equilibrato tra scienza, cioè ragione, misura, controllo e fede, intesa come

slancio, sintesi dunque tra un agire ed un pensare insieme equilibrato e coraggioso. La ricerca

progredisce sia grazie al controllo della ragione sia grazie allo slancio nel vuoto della passione: la

sfida della ricerca sta proprio nel fare domande al mondo, nell'incertezza di averne risposte

esattamente come si esprimeva Oscar Wilde nella dedica iniziale dell'autore. Nelle dediche sono

presenti proprio i due poli della vita, secondo Corrado Suma, cioè la ragione, "la terra" e il

sentimento," il cielo". Tanti anni fa partecipammo ad un incontro con Papa Francesco, indirizzato

alle famiglie e agli allievi delle scuole gesuitiche. Da insegnante e da mamma rimasi colpita dalle

parole del Papa sul tema dell'educazione dei figli o degli allievi, secondo le quali bisogna avere

sempre un equilibrio, come se si fosse sulla corda di un equilibrista, tra il lasciare liberi i figli/allievi

di espandersi, di scegliere, di sbagliare, se è il caso, e il trattenerli, con un filo sottile, ma molto forte,

su "percorsi" noti e conosciuti.

L'amore dell'autore, Corrado Suma, per la cultura, si esprime con un'immagine molto intensa a

pagina 29, laddove, al cospetto dei libri della biblioteca, in cui inizia il viaggio iniziatico di Pietro, si

dice che il libro è un luogo dove "librarsi" e scoprire la libertà: nell'etimologia delle parole libro e

libertà c'è un assonanza che suggerisce, fascinosamente, un collegamento tra la cultura e la sua

valenza liberatoria, aldilà delle catene che il mondo in cui viviamo spesso ci mette anche a nostra

insaputa.

Splendide poi sono le pagine del terzo capitolo in cui si ripercorrono alcuni momenti di vita di

Archimede, il quale assurge a modello di esempio di uomo di scienza, disposto a ricercare la verità

non solo per sé, ma per tutta l'umanità, senza mai piegarsi ai nuovi dominatori romani e

condividendo la sorte dei suoi concittadini.

L'amore per la matematica di Archimede non è fine a se stessa ma serve a spiegare il mondo

attraverso un rigore scientifico dimostrativo intriso di pragmatismo. Archimede, però, in base ai

nostri studi pregressi, è anche l'emblema del filosofo ascetico, quasi un "santone", nel mondo

antico, legato a una certa visione magica del numero.

Archimede, pertanto, è proprio la sintesi dell'equilibrio tra cielo e terra, tra slancio e razionalismo,

tra passione e concretezza, tra ingenium et ars, genio e tecnica: in una parola il modello umano che

crediamo affascini Corrado Suma e che ci richiama alla mente Epicuro o Lucrezio, illuminati da una

ragione appassionata, sintesi di rigore scientifico e fede entusiastica nella scienza e nel progresso,

liberatori dell'umanità come Archimede.

Le pagine del romanzo proseguono, dando un'impronta alla Dan Brown al racconto, per cui ci

troviamo, per un attimo, in una sorta di romanzo giallo, a tinte noir, che disorientano il lettore, tanto

quanto il protagonista: la struttura labirintica del quarto e quinto capitolo sottolinea il profondo

legame dell'autore con la tradizione letteraria novecentesca e contemporanea dei romanzi fantasy,

fantascientifici e filosofici.

Proprio in tal senso il romanzo presenta un finale aperto, che lascia il lettore con una responsabilità

individuale, quella di cogliere il senso più profondo del messaggio di sfida che l'autore vuole lanciare:

ognuno di noi può credere ciò che preferisce, che sia stato soltanto un sogno quello di Pietro, o che

sia stata un'esperienza "paranormale".

Ma, in fondo in fondo, ciascuno di noi non preferirebbe pensare che il viaggio nel pensiero umano

sia tanto fantastico quanto reale?

© 2021  Corrado Suma, writer&author 
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